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Alton Sterling e Philando Castile, vittime innocenti della brutalità della polizia: è il momento di dire basta

Quanto sta accadendo nelle ultime ore negli Stati Uniti d’America, purtroppo, non dovrebbe sorprenderci più di tanto. Nonostante l’attenzione dei media internazionali – italiani compresi – riservata alle sparatorie di Dallas della notte scorsa (durante le quali sono caduti 5 agenti di polizia ed altri 7 sono rimasti gravemente feriti), è doveroso sottolineare che questi terribili fatti non costituiscono una novità per il paese, né sono stati perpetrati dalla mano di un gruppo di delinquenti senza Dio.

Sarebbe molto più facile credere che dietro la morte degli agenti texani ci sia soltanto l’odio comune e mai troppo celato del “popolo disubbidiente” nei confronti delle forze dell’ordine, ma la verità non corrisponde a ciò che molti giornali e televisioni nostrane stanno riportando.

Il Corriere della Sera di oggi, ad esempio, dedica ampio spazio nella sua edizione online al massacro dei poliziotti di Dallas, ma soltanto un piccolo trafiletto è riservato al reale motivo per cui i drammatici eventi hanno avuto luogo, cioè l’assurda morte, nel giro di sole 48 ore, di due giovani afroamericani, disarmati ma assassinati con cinica freddezza da alcuni rappresentati della legge in Louisiana ed in Minnesota.

Ciò che accomuna la morte di Alton Sterling e Philando Castile, oltre al fatto di essere stati ammazzati senza pietà, è la testimonianza video dei momenti finali di entrambe le aggressioni, ripresi amatorialmente ma in maniera abbastanza chiara da poter parlare di un’autentica esecuzione messa in atto dai loro carnefici, che purtroppo sono gli stessi che dovrebbero proteggere i cittadini da questo tipo di aberranti barbarie.

Alton Sterling.

Alton Sterling.

Sia il trentasettenne Alton Sterling (residente a Baton Rouge, Louisiana) che il trentaduenne Philando Castile (di Falcon Heights, Minnesota) hanno trovato la morte – in circostanze poco dissimili – per il solo fatto di avere la pelle nera, una caratteristica che troppe volte ormai corrisponde al pericolo di essere trucidati – senza conseguenze per gli aguzzini – nella terra d’oltreoceano.

Il razzismo gioca sicuramente un ruolo centrale, ma sarebbe sbagliato limitare la comprensione di questi drammatici episodi soltanto ad esso. In realtà, la diffidenza dei bianchi nei confronti dei neri (seppur ancora fortissima in America) non porterebbe a questo tipo di conseguenze senza l’influenza fondamentale dei sindacati della polizia sparsi per tutto il paese, il cui peso politico fa regolarmente sì che le accuse di omicidio nei confronti degli agenti cadano nel nulla, scongiurando a volte addirittura l’eventualità di mettere in piedi un processo penale con tutti i crismi.

Philando Castile.

Philando Castile.

Nella primavera del 1992, l’assoluzione dei poliziotti che presero parte al famoso pestaggio di Rodney King (nonostante, come nel caso di Sterling e Castile, la vicenda fosse stata ripresa da una telecamera) scatenò una vera e propria rappresaglia dei cittadini di colore per le strade di Los Angeles, tanto che la Casa Bianca si vide costretta ad inviare sul posto la Guardia Nazionale per ripristinare l’ordine. In quel caso, proprio come a Dallas poche ore fa, la popolazione afroamericana sentì il bisogno di reagire ad un palese caso d’ingiustizia, manifestatosi tra l’altro nella sua forma più disonorevole, poiché quando l’assassino è il poliziotto, chi garantisce per l’incolumità della collettività?

E’ assai doloroso dover prendere atto del recidivo ripetersi della storia, e l’opinione comune è che anche questa ennesima vicenda di soprusi finirà in un nulla di fatto per le stesse ragioni spiegate poc’anzi, e chi ha trucidato Sterling e Castile non vedrà quindi mai la cella di una prigione, andando forse incontro ad una blanda e beffarda sospensione.

Tutto questo deve finire.

Episodi del genere non devono più accadere, ma bisogna fare in modo che le parole non rimangano tali: la presidenza di Barack Obama ci ha dimostrato che, malgrado tutte le buone intenzioni (alcuni ricorderanno, ad esempio, le lacrime del Presidente – che avevano il profumo della resa – dopo la sparatoria alla scuola elementare di Sandy Hook, nel 2012), troppe lobby senza scrupoli con altrettanti interessi esercitano un potere quasi dittatoriale all’interno del Congresso degli Stati Uniti, tenendo in ostaggio l’inquilino della Casa Bianca – chiunque egli sia – e costringendolo a metterci la faccia nel momento in cui le mostruosità generate dalla loro sete di potere prendono forma nella tragedia di turno.

Barack Obama in lacrime, dopo la strage di Sandy Hook, dicembre 2012.

Barack Obama in lacrime, dopo la strage di Sandy Hook, dicembre 2012.

In Italia, l’errore che non dobbiamo commettere è guardare ai casi americani con la distanza degli spettatori: da noi, infatti, si fa ancora un gran parlare degli omicidi di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, i due ragazzi uccisi in circostanze piuttosto controverse da poliziotti in servizio nella nostra stessa patria, e anche qui abbiamo tutti potuto testimoniare con quale estrema facilità le mele marce presenti nel dipartimento di polizia possano farsi scivolare di dosso le (fondate) accuse di aver tolto deliberatamente la vita a dei poveri innocenti.

L’unico modo per innescare un’inversione di marcia, quindi, è l’iniziativa popolare.

Il popolo, infatti, per quanto diffidente (a ragione) nei confronti della classe politica, è molto più permeabile ai moniti lanciati dal mondo dell’intrattenimento, ed è qui che l’hip-hop, come movimento culturale, deve necessariamente fare la sua parte.

Non possiamo e non dobbiamo pensare che una scuola di pensiero nata sulle ceneri di quelli che furono i grandi rappresentanti della lotta per l’uguaglianza sociale afroamericana (da Malcolm X al Black Panther Party di Huey P. Newton) si tiri indietro in un momento come quello attuale, caratterizzato ancora da violente lotte razziali e dalla riesumazione del termine “police brutality” (“la brutalità della polizia”) di cui mostri sacri come Tupac e gli N.W.A parlarono senza paura a cavallo tra gli anni ’80 e ’90.

I disordini di Los Angeles, dopo la sentenza del caso King, aprile 1992.

I disordini di Los Angeles, dopo la sentenza del caso King, aprile 1992.

Chi pensava che i tempi in cui Ice Cube urlava alla folla “fuck tha police!” con il dito medio alzato fossero finiti, dovrà pertanto ricredersi; i cadaveri di Alton Sterling e Philando Castile sono ancora caldi e giacciono immobili nell’obitorio, ricordandoci quanto lo spirito della lotta per il diritto alla vita non deve essere in alcun modo dimenticato da chi fa rap e parla ad un vasto pubblico, perché se l’hip-hop smette di trasmettere un messaggio, allora non ha più ragione di esistere.

E’ encomiabile che un personaggio tanto influente nel panorama musicale odierno come Drake abbia deciso di parlare pubblicamente di questi assassinii, ma una semplice lettera, per quanto accorata, non è abbastanza; dall’alto del suo attuale potere mediatico, uno come Drake dovrebbe prendersi la responsabilità di trattare questa spinosissima questione all’interno delle sue canzoni, sfruttando l’enorme cassa di risonanza costituita dalla forza della musica per far sì che il tempo non sbiadisca la solenne importanza dell’argomento.

Se il martirio di Alton Sterling e Philando Castile servirà a risvegliare la coscienza dei rapper affinché questi tornino a trattare i temi di cui l’hip-hop dovrebbe davvero farsi carico, allora le loro morti non saranno state vane, perché avranno donato una seconda vita al movimento, permettendogli di tornare ad avere voce in capitolo su questioni di primaria importanza per la sopravvivenza dei reietti e degli emarginati, seguendo quindi le radici che gli hanno permesso di nascere, crescere e prosperare. Se ciò non avverrà, tuttavia, avremo tutti perso una grande occasione per fare qualcosa di buono, e le anime di tanti altri poveri uomini saranno spedite nell’aldilà per colpa del nostro tacere.

 

 

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

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Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Classe 1991, vive e lavora a Milano. Esperto di cultura Hip-Hop statunitense, collabora con Mondo Rap dall'ottobre del 2015.