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Big L: Harlem’s Finest

Per quelli che hanno avuto il privilegio di conoscerlo, Big L è stato la perfetta sintesi della cultura hip-hop: un personaggio ruvido, affezionato alle proprie radici, nonché uno straordinario liricista, probabilmente il talento più cristallino mai visto ad Harlem, quartiere pieno di storia nel cuore dell’eterna New York.

Parlare di Lamont Coleman (questo il suo vero nome) non è facile: per quanto il suo contributo alla musica rap sia stato d’inestimabile valore, il suo personaggio non è riuscito ad arrivare – per il poco tempo che ha abitato questo pianeta –dove altri immortali hanno prosperato, lasciando una solida e cospicua eredità artistica.

La sua storia non è diversa da quella di molti altri giovani afroamericani vissuti ad Harlem nei primi anni ’90, ma è proprio la sua semplicità a farne un’icona grezza e lampante per chi, nei quartieri oltraggiati di tutta America, non ha mai conosciuto lo champagne e le Ferrari sfoggiate da Puff Daddy nei suoi video musicali. Alla possibilità di mettere il suo talento al servizio di pubblicitari senz’anima, Big L ha preferito la lealtà verso la sua gente, e ancora oggi questo suo viscerale affetto è ripagato nelle strade dove ha vissuto la sua turbolenta vita, nelle conversazioni tra indigeni o sui muri pericolanti dell’incrocio tra la 139th Street e Lenox Avenue (che L ribattezzò, in maniera evocativa, “the danger zone”, la zona del pericolo).

Fu proprio in queste vie che il giovane Lamont ebbe modo di affinare le proprie abilità di rapper: durante l’ora di ricreazione alla Julia Richmond High School e al Savoy Park, il ragazzo si distingueva nell’arte del freestyle, e non gli ci volle molto ad essere incoronato re dell’underground locale.

Al tempo, il rap della East Coast stava vivendo una nuova giovinezza: mentre il G-Funk di Dr. Dre impazzava sul versante losangelino, rappresentanti del calibro di The Notorious B.I.G. (Brooklyn) e Nas (Queensbridge) si stavano consegnando ai posteri come pesi massimi della scena newyorkese, e tutti credevano che Big L avrebbe presto indossato le vesti di quel portavoce di cui Harlem aveva bisogno per dire la sua nel mercato discografico.

Big L

Big L

Fin dal 1990, all’età di 16 anni, L non aveva fatto altro che dedicarsi anima e corpo all’arte dell’MCing, e aveva anche formato un suo gruppo – chiamato Three the Hard Way – che però non ebbe vita lunga. La svolta arrivò poco tempo dopo, con i Children of the Corn, di cui facevano parte anche dei giovanissimi Mase (allora conosciuto come Murda Mase) e Cam’ron (Killa Cam): fu allora che il rapper e produttore Lord Finesse cominciò a farsi vedere in giro con Big L, dopo che i due si erano incontrati per la prima volta nel negozio di un barbiere, nell’estate del ’90, sulla 125th Street di Harlem.

L’affiliazione a Finesse e la pubblicazione del convincente quanto inquietante singolo horrorcore “Devil’s Son” garantirono presto ad L un contratto discografico con la Columbia, stessa etichetta per la quale, in quel periodo, un debuttante Nas stava mettendo insieme i pezzi che sarebbero confluiti nel monumentale “Illmatic”.

 

L’album di debutto del rapper (e l’unico pubblicato in vita), intitolato “Lifestylez ov da Poor & Dangerous”, fu pubblicato nel marzo 1995, e fu un immediato motivo d’orgoglio per i figli di Harlem: il loro più illustre delegato, finalmente, aveva messo sulla mappa le nude realtà di quel luogo che fu tanto caro a Malcolm X, negli anni della sua attività pastorale presso la Nation Of Islam del controverso Elijah Muhammad. Il disco pare essere concepito per immergere l’ascoltatore nella violenta e buia quotidianità delle strade di Harlem; Big L, tuttavia, non si propone come guida turistica in questo viaggio, bensì come prodotto del suo ambiente, levigato fino al punto di apparire lui stesso come un criminale a sangue freddo, fiero delle sue gesta e pieno del proprio ego.

Nonostante la risposta estremamente positiva del pubblico sommerso, comunque, “Lifestylez ov da Poor & Dangerous” non fu un trionfo commerciale: poco tempo dopo la pubblicazione del disco, infatti, L fu scaricato dalla Columbia, non essendo stato in grado di catturare l’attenzione del pubblico più “pettinato”, quello che – in quegli stessi mesi – si dava da fare nei club sulle note di “Big Poppa”.

Rifiutato dalla platea mainstream, Big L tornò a rifugiarsi tra i suoi simili, e fondò un’etichetta indipendente – la Flamboyant Entertainment – attraverso la quale cominciò quasi subito a lavorare al suo album successivo, “The Big Picture”.

La Cover di "Lifestylez ov da Poor & Dangerous"

La Cover di “Lifestylez ov da Poor & Dangerous”

 

Malgrado  l’entusiasmo per il nuovo progetto, purtroppo, Big L non riuscì mai a completarlo: il 15 febbraio 1999, mentre tornava verso casa della madre con una scatola di cioccolatini tra le mani (era il giorno dopo San Valentino), Big L fu ucciso a sangue freddo nel suo quartiere, a poche decine di metri da quel Savoy Park in cui aveva mosso i primi passi nel campo della musica.

Anche se nessun colpevole è mai stato assicurato alla giustizia (come accade spesso in questo tipo di situazioni), i più informati hanno indicato un tale, di nome Gerard Woodley, come esecutore materiale dell’omicidio.

Secondo quanto emerso dalle indagini, pare che la morte di Big L sia stata ordinata per vendetta da alcuni malviventi con i quali il fratellastro di L, Big Lee (all’anagrafe Leroy Phinazee) aveva avuto dei problemi relativi al traffico di droga: non potendo uccidere Big Lee (poiché si trovava in carcere), il sicario si rifece sul giovane rapper, che all’epoca aveva soltanto 24 anni. Un’altra versione suggerisce che Big L sia stato ucciso per errore, essendo molto simile fisicamente a Leroy.

Quando Big Lee uscì di galera, poco tempo dopo l’omicidio di L, il suo primo pensiero fu quello di mettere le mani sul killer che aveva tolto la vita a suo fratello; purtroppo, però, anche lui venne freddato,  entrambi i ragazzi riposano oggi al George Washington Memorial Park di New York.

Poco tempo prima di morire, Big L era in trattativa per entrare nell’illustrissimo roster della Roc-A-Fella Records di Jay-Z e Damon Dash: le discussioni relative alla firma erano già cominciate dai tempi della rottura di L con la Columbia, ma si erano protratte ad oltranza poiché il ragazzo insisteva che non avrebbe mai firmato un contratto senza i membri della sua crew di Harlem, McGruff e C-Town: un esempio di pudore e lealtà al quale, purtroppo, non siamo più abituati nel patinato mondo musicale odierno.

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

 

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Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Classe 1991, vive e lavora a Milano. Esperto di cultura Hip-Hop statunitense, collabora con Mondo Rap dall'ottobre del 2015.