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Perché l’Hip-Hop ama Prince

Ci ha lasciati così, increduli, come per anni era riuscito a fare con il suo stile unico e mai datato. Prince Roger Nelson, o semplicemente Prince, si è spento ieri, all’età di 57 anni, collassando nell’ascensore della sua residenza, nell’amata cittadina di Chanhassen (Minnesota).

Un’anima inquieta, la sua, sempre alla spasmodica ricerca di un marchio e di una perfezione artistica che non annoiasse mai il pubblico. Prince era questo: un assoluto genio della musica del XX secolo, un patrimonio dell’umanità che, nonostante la prematura scomparsa, dovrà continuare a vivere e prosperare nel cuore di tutti noi.

Nell’odierno giorno di lutto, la comunità hip-hop si trova in prima linea nel ricordo di questo straordinario uomo, un po’ per il mai celato orgoglio per il colore della sua pelle ed un po’ per l’insostituibile contributo musicale, che ha offerto innumerevoli spunti, sia puramente melodici che culturali, alla musica rap degli ultimi trent’anni.

Prince, infatti, non ha mai tradito le sue origini, e fu anche questo, molto probabilmente, a precludergli le stesse possibilità di successo che ebbe un altro immortale come Michael Jackson, il quale fu invece fin da subito vittima di una manipolazione che andò ben oltre le mere scelte professionali, stretto in una morsa il cui scopo era soltanto quello di spremerne l’inarrivabile talento.

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Rispetto a Michael, Prince riuscì nell’impresa di non farsi fagocitare dallo spietato business musicale, e questa sua determinazione nel restare onesto con se stesso gli fece guadagnare la stima di tutti, seppur a discapito di un successo che potrebbe essere stato ancor più grande; la sua musica sapeva essere pop ma non beceramente commerciale, era carica di fanciullesco entusiasmo e nella genuina sfumatura di ogni nota traspariva con decisione tutto il suo bagaglio etnico, facendosi erede di quei grandi performers che la fazione nera non ha mai dimenticato.

Tra gli esponenti più leggendari del genere funk, Prince è stato spesso paragonato ad animali da palcoscenico del calibro di James Brown, Sly and the Family Stone e George Clinton dei Parliament-Funkadelic, tutte personalità fondamentali nella creazione della musica rap più pura e rispettata.

Come se non bastasse, anche i nomi di Jimi Hendrix (rock, blues) e Miles Davis (jazz) sono stati accostati a quello del “folletto di Minneapolis”, a dimostrazione di quanto la sua poliedricità fosse in grado di esplorare i più reconditi meandri della tradizione musicale afroamericana.

Prince sulla copertina di "Purple Rain" (1984).

Prince sulla copertina di “Purple Rain” (1984).

I produttori hip-hop che hanno campionato la sua musica sono innumerevoli, ed altrettante sezioni di molte sue canzoni sono state tagliate e rimodellate per essere successivamente inserite in opere che oggi i più fedeli cultori del rap conoscono, magari ignari della presenza in quei pezzi di un qualche suo sample.

Per fare una manciata di esempi eccellenti, potremmo citare “Eazy-Duz-It” di Eazy-E e “Brothers Gonna Work It Out” dei Public Enemy, entrambe benedette dal riff di chitarra di “Let’s Go Crazy”, prima traccia dell’iconico album “Purple Rain” (1984).

Come dimenticare, poi, la sensuale voce di Beyoncé nella famosissima “’03 Bonnie & Clyde”, in compagnia del suo amato Jay-Z, durante la quale la signora Carter si cimenta in una rivisitazione vocale di “If I Was Your Girlfriend”, tratta dal doppio album “Sign o’ the Times” (1987)?

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E ancora, magistrale fu il lavoro di Kanye West, storicamente un genio del campionatore, sulla canzone che chiude l’album “Graduation”, “Big Brother”, per cui il controverso rapper e produttore di Chicago dona nuova linfa vitale a “It’s Gonna Be Lonely”, meravigliosa ballad estrapolata da “Prince” (1979), il secondo ed omonimo lavoro in studio del Nostro.

Furono ben due, invece, i brani di Tupac nei quali è possibile udire qualche nota di Prince: il primo è “I Get Around”, per il quale Shock G dei Digital Underground scelse “The Ladder”, contenuta originariamente in “Around the World in a Day” (1985); il secondo è la straordinaria e struggente “To Live & Die in L.A.”, che il figlio di Quincy Jones, il producer QD3, fu in grado di rendere impeccabile con un sample di “Do Me, Baby”, terza canzone dell’album “Controversy” (1982).

Prince al Fabulous Forum di Inglewood (California), nel 9185.

Prince al Fabulous Forum di Inglewood (California), nel 1985.

Al di là del sublime contributo artistico, comunque, Prince è sempre stato in grado di far breccia nei cuori degli appassionati più veraci dell’hip-hop grazie alla sua già citata scelta di restare “vero”.

In una cultura dove il motto “Keep It Real!” è stato per anni un vero e proprio slogan dai contorni simil-politici, la presa di posizione di Prince contro le major discografiche ed il suo rifugio nel sottobosco indipendente è stata percepita come un’autentica sfida al sistema, nel sacrosanto nome di una libertà espressiva che i colossi del mercato non permettono mai a quegli artisti che costituiscono per loro un notevole investimento, sia sul breve che sul lungo termine.

A Chanhassen, dove viveva, Prince si era fatto costruire uno studio di registrazione casalingo, fornito di tutte le attrezzature necessarie per poter creare la sua musica in tutta tranquillità; da artista completo qual era, poi, era solito suonare tutti gli strumenti presenti in ogni sua canzone, che fosse la batteria, la chitarra, il basso e ovviamente la voce, il suo strumento più personale e, forse, più distintivo.

Anche la sua etica lavorativa, di certo, non sarà dimenticata: la sua capacità di attirare ai suoi spettacoli fans di ogni genere, colpiti dalla sua camaleontica presenza scenica, difficilmente potrà essere pareggiata, così come l’incontenibile passione per l’esibizione, che lo portava spesso a calcare il palco per molto più tempo rispetto alla media degli artisti della medesima caratura, coadiuvando la bellezza della musica ad un trionfo di costumi e colori che parevano esser discesi da un pianeta lontanissimo.

Prince all'Assembly Hall di Champaign (Illinois), nel 2004.

Prince all’Assembly Hall di Champaign (Illinois), nel 2004.

Di fronte a questa immane tragedia, com’era immaginabile, sono stati moltissimi i personaggi legati al mondo hip-hop che hanno voluto esprimere il proprio cordoglio per la perdita di Prince.

“Mi trovo a Minneapolis, e sta piovendo…”, ha twittato ieri Lupe Fiasco, subito dopo la notizia della scomparsa del cantante.

“Onestamente, credo di non aver pianto così nemmeno quando è morto mio nonno”, ha invece scritto ai fans Mac Miller.

“Raramente ascolto roba nuova. Molto raramente. La mia generazione ha prodotto troppa buona musica, non c’è spazio per altro. Questo è un incubo”, è stato il triste pensiero del leggendario produttore 9th Wonder.

“Sono un uomo che parla molto”, ha commentato Chuck D, ancora attraverso Twitter, “ma sono senza parole per la perdita di Prince. E’ come se la Terra abbia perso una nota. C’è poco da dire, l’unica cosa da fare ora è ascoltare la sua musica…”.

 

Proprio come ha scritto il frontman dei Public Enemy, forse, il modo migliore per ricordare Prince è e sempre sarà questo: metter su uno dei suoi tanti capolavori e lasciare che sia lui, come ha sempre fatto in vita, a cullarci tra le vivide immagini della sua leggenda. Che la sua anima possa riposare in pace.

 

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

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Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Classe 1991, vive e lavora a Milano. Esperto di cultura Hip-Hop statunitense, collabora con Mondo Rap dall'ottobre del 2015.