Mondo Rap

Perchè l’Hip-Hop NON è fatto per fare i soldi

Ci sono momenti in cui è necessario mettere da parte l’entusiasmo, spegnere la musica e fermarsi a riflettere sulle proprie convinzioni.

Chi non ha scelto, bensì ha sentito il “richiamo spirituale” di abbracciare la cultura hip-hop, dovrebbe sempre tenere in mente un concetto ben preciso: ci sono delle regole da rispettare.

Seguire religiosamente l’hip-hop non è un obbligo imposto, e chiunque può decidere – per quanto sia piuttosto imbarazzante – di abbandonarlo in favore di una visione di vita radicalmente differente, poiché siamo persone libere e la democrazia deve essere garantita a tutti, senza distinzioni.

Il problema si pone nel momento in cui, da parte di alcuni individui, si presenta l’inderogabile volontà di etichettarsi come seguaci del movimento, pur consapevoli (o no?) del fatto che le loro idee non sono in linea con ciò che, anche a grandi linee, lo stesso movimento predica.

In Italia, paese in cui siamo abituati a reinventare le ideologie secondo i nostri comodi, l’hip-hop è ormai diventata una sorta di moda “usa e getta”, stereotipata nei suoi lati più caratteristici e sfruttata per fini prettamente commerciali.

Il caricaturale esempio fornito da molti degli esponenti rap più in voga del nostro paese ha fatto sì che un numero incalcolabile di nuovi adepti (nemmeno troppo convinti) si sia riversato per le strade di ogni città, costruendo una vergognosa casta – il cui credo è basato sul nulla più spietato – che certamente non può farsi portatrice di serietà presso chi la cultura hip-hop non la conosce e già fa fatica a capirla.

Chi scrive non ha nessun legame con la scena rap italiana, ed è forse grazie a questa scelta di mantenere una distanza di sicurezza che la prospettiva può risultare più lucida ed attendibile; le poche e stravaganti dichiarazioni che, di tanto in tanto, vedo spuntare su qualche quotidiano nazionale od intervista televisiva, mi fanno capire quanto la stragrande maggioranza di coloro che si sono avvicinati all’hip-hop in tempi recenti stia procedendo su un binario sbagliato, imparando la dottrina (ed il termine non è esagerato) dai maestri meno preparati in circolazione.

Lo scorso marzo, ad esempio, sono rimasto sconvolto da un commento rilasciato da Gué Pequeno, un personaggio che, se fosse stato trapiantato in suolo statunitense meno di una decade fa, sarebbe stato probabilmente costretto a cercarsi un lavoro onesto.

Ebbene, la frase incriminata del Pequeno è la seguente:

In Italia siamo stati i primi a parlare di denaro dicendo che noi lo volevamo, mentre gli altri affermavano di farlo per l’hip-hop, ma l’hip-hop è fatto per fare soldi, quindi sbagliavano“. (potete vedere la video intervista cliccando qui)

Premesso che, fin dai tempi di Grandmaster Flash, la passione per il denaro non è mai stata mistificata per far passare un concetto differente, qualcuno dovrebbe informare questo mercenario di bassa lega che l’hip-hop è nato per fini differenti e che, se la dignità e la coerenza non fanno parte del suo bagaglio umano, dovrebbe avere almeno la decenza di parlare ad esclusivo titolo personale, senza infangare l’intera cultura.

Lo sfoggio della presunta superficialità, la violenza ed il desiderio per i quattrini, in realtà, nascono come reazione ad un certo contesto sociale, comprensibile soltanto per chi abbia fatto la fatica di aprire un libro di storia e leggerne qualche pagina. Quando Ice Cube cantava “life ain’t nothin’ but bitches and money” nella fondamentale “Gangsta Gangsta”, il suo vero scopo era quello di mostrare alla pettinata America borghese degli anni ’80 con quale rovinosa mentalità stavano crescendo gli adolescenti neri delle periferie californiane; lo stesso gangsta rap vide la luce per la necessità di fornire al mondo intero una “CNN afroamericana“, attraverso la quale tutta la realtà dei ghetti abbandonati fosse raccontata nei dettagli più scabrosi.

Lo stesso fenomeno della ghettizzazione, poi, è stato fondamentale al fine di dare un’identità a coloro che hanno modellato i contorni del fenomeno hip-hop, e l’hip-hop stesso ha finito per farsi carico della frustrazione di chi, sotto i governi di Nixon e Reagan, non si sentiva in alcun modo rappresentato.

Ora che l’hip-hop è diventato un fenomeno globale ed il mondo si è evoluto (anche se non troppo, a dire il vero), è chiaro che non si possono trattare gli stessi temi affrontati da Chuck D o KRS-One, ma non è questo il problema: chiunque nel mondo può scegliere questo stile di vita e predicarlo a sua volta, a patto che i valori più profondi di giustizia sociale, onesta intellettuale e perseguimento della verità non siano mai persi di vista.

Porre il denaro e la materialità in generale come primi pilastri sul quale si poggia il movimento hip-hop è quindi un grave e diffamante errore, il più comune commesso da chi di questa cultura non ha capito assolutamente niente.

Purtroppo, come Gué Pequeno, si potrebbero menzionare tantissimi altri personaggi, il cui pensiero non si discosta molto da quello sopracitato. Anche la stessa America, patria e culla della cultura, si ritrova oggigiorno a fare i conti con alcune deliranti macchiette, che purtroppo stanno prendendo piede per la credibilità datagli dal pubblico pop, figlio di MTV e disposto ad idolatrare qualsiasi cosa gli venga offerto dalla spietata industria.

Dunque, cerchiamo di realizzare che le sorti dell’hip-hop dipendono solo ed esclusivamente da noi: smettiamola di idolatrare falsi miti, che nulla di buono ci possono dare ed anche meno possono insegnarci; rifiutiamo di lasciarci corteggiare dal suono orecchiabile di qualche singolo ben confezionato e scaviamo nel profondo della storia per capire in cosa crediamo, senza aspettare che sia qualcun altro ad illuminarci sulle convinzioni alle quali aderire.

La conoscenza è la chiave. Ed è l’unico strumento efficace che abbiamo per combattere l’ignoranza di certi elementi.

 

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

-LEGGI ANCHE “EMIS KILLA: VI DICO LA VERITA’ SUL RAP GAME ITALIANO“-

-LEGGI ANCHE “KRS ONE: LA POLIZIA E’ UNA GANG ORGANIZZATA“-

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Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Classe 1991, vive e lavora a Milano. Esperto di cultura Hip-Hop statunitense, collabora con Mondo Rap dall'ottobre del 2015.