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I 10 migliori album rap statunitensi del 2015

Il 2015, sotto l’aspetto musicale, non è stato malvagio: un enorme numero di dischi dei quali avremmo fatto volentieri a meno è stato pubblicato, ma ce ne sono stati altri – molti sottovalutati, come al solito – che hanno avuto il merito di dare un buon grado di lustro all’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle.

Così, mentre ci addentriamo senza soluzione di continuità in questo promettente 2016 (ma non diciamolo troppo forte), andiamo a scoprire quali sono stati i lavori più interessanti degli ultimi dodici mesi, tra successi annunciati e qualche lieta sorpresa.

1) Kendrick Lamar – “To Pimp a Butterfly”

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Carico di pressione per l’ingombrante etichetta di “figlioccio di Dr. Dre”, Kendrick Lamar non ha soltanto soddisfatto le aspettative, ma si è spinto anche oltre l’immaginabile, presentando al mondo un prodotto spartiacque, che demarca una profonda linea di divisione tra il rap dogmatico – che piace tanto ai puristi del genere – e la sua controparte vuota e commerciale, che tanto spopola tra gli ascoltatori più distratti e disinteressati. Un disco complesso ma didattico.

 

2) Skyzoo – “Music for My Friends”

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Mentre la maggior parte dei sedicenti “artisti” a cui siamo generalmente abituati non esita a fare il salto nel mercato globale per mercificare la propria arte, c’è ancora qualcuno che, seppur colmo di eccelso talento, pone la propria dignità artistica al di sopra dell’oro: è il caso di Skyzoo, probabilmente il nome più caldo dell’underground a stelle e strisce, che con il suo “Music for My Friends” ci ricorda ancora una volta quale sia la vera natura della cultura che tanto amiamo. Il reportage della vita di un umile ragazzo di Brooklyn. Ovviamente in rima.

 

3) The Game – “The Documentary 2.5”

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Questo “dettaglio”, che The Game ha rilasciato a pochi giorni di distanza dal disco principale, convince da ogni punto di vista: la vecchia Compton è ancora sulla mappa, il suono West Coast è più fresco che mai ed i suoi rappresentanti sono pronti a riprendersi il trono scippatogli – da quasi una decina d’anni a questa parte – dal controverso sud. Rispetto al suo prequel, si avvicina forse con ancor più convinzione al progetto originale, ormai un accettato classico della nuova scuola post-11 settembre.

 

4) Joey Bada$$ – “B4.DA.$$”

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E’ soltanto il suo primo disco ufficiale, ma il livello di competitività è già alle stelle. Joey Bada$$ vuole esserci, dimostrare di valere quanto basta per prendere posto tra i grandi della storia del rap e, per farlo, non avrebbe potuto cominciare in modo migliore: benedetto dalle produzioni di nomi ancora semi-sconosciuti ma molto validi (Kirk Knight, Chuck Strangers), nonché di mostri sacri del calibro di DJ Premier e J Dilla (RIP), il ragazzo dà sfogo alla sua vena narrativa, oscillando tra l’affetto per le proprie radici e la sfrenata voglia di emergere come rapper. Ciò che aveva già fatto ben auspicare gli ascoltatori nei suoi mixtape, è solo confermato su questo bel disco. Adatto agli estimatori del sound di MF DOOM.

 

5) Dr. Dre – “Compton”

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Guardare il mondo dall’alto dev’essere una gran bella sensazione, tanto bella da volerla condividere con il resto del mondo: “Compton” è l’ultimo atto dell’epica cavalcata che ha portato Dr. Dre ad essere annoverato tra i più grandi geni musicali del XX secolo, abitante di un’isola che accoglie un numero ristrettissimo di eletti, per sempre impressi nella storia culturale del nostro pianeta. Questo album non cerca sfidanti, né si lancia verso l’obiettivo di creare nuovi equilibri; è soltanto il lavoro di una leggenda che sente di non aver più nulla da dimostrare, composto, riflessivo e appassionato nella sua mai sazia voglia di allietare le orecchie del pubblico. Un testamento.

 

6) The Game – “The Documentary 2”

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Forse non al livello del suo “sequel”, ma ancora imponente nel complesso: “The Documentary 2“ passa il difficile esame del titolo che porta e, pur non surclassando la maestosità delle diciotto tracce che compongono il primo capitolo (uscito ormai più di dieci anni fa, nel 2005), la qualità resta altissima, specie se paragonata a quella reperibile in giro oggigiorno. Il nostro parla sempre molto di sé, ma il suo imperativo legame con la storia dell’hip-hop – che, d’altronde, dà senso al nome al disco – rende l’intero progetto consistente ed onestamente trasgressivo, ben alla larga dall’eccesso fine a sé stesso ed il politically correct. Ben fatto.

 

7) Jedi Mind Tricks – “The Thief and the Fallen”

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Avere il rispetto dell’underground, arrivando al punto di esserne considerati tra i padroni assoluti, può e deve essere un titolo di merito, per una cultura proveniente dagli strati sociali più bassi ed emarginati: è questa la motivazione che sta dietro ad ogni prodotto firmato Jedi Mind Tricks, la realtà di Philadelphia guidata dall’italoamericano Vinnie Paz (delle cui origini è orgogliosissimo), un rapper destinato a restare un lusso per pochi eletti, dal momento che i grandi gruppi discografici non capiranno mai l’importanza di soggetti tanto duri e crudi. Il disco? Va semplicemente ascoltato ed amato, senza riserve.

 

8) Lupe Fiasco – “Tetsuo & Youth”

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Bissare il clamoroso successo di “Food & Liquor” non sarebbe stato un compito facile, e questo lo sapeva anche Lupe stesso, ma va bene così: “Tetsuo & Youth” è comunque troppo valido per considerarsi un’involuzione rispetto al capolavoro del 2006, e costituisce un gran passo in avanti rispetto ai progetti che ne hanno seguito il clamoroso debutto. Fiasco si conferma un artista complesso, originale, la cui musica non fa altro che seguire la sua personale (e curiosa) percezione dell’ambiente che lo circonda. Chi cerca puro tradizionalismo può rivolgersi altrove, qui siamo sulla soglia della pop art.

 

9) Ludacris – “Ludaversal”

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Nonostante sia conosciuto dai più per i film della serie Fast & Furious e per le sue canzoni radio-friendly (“Stand Up” è ancora un must nei club), l’amore che Ludacris prova per l’hip-hop è semplicemente sconfinato. Il suo rispetto per questa cultura si ripercuote nella musica che fa, valida nella melodia ed ancor più nei testi, dove il rapper di Atlanta trova sempre il terreno ideale per lasciare a bocca aperta gli ascoltatori: liriche al vetriolo, taglienti come coltelli affilati, mai scontate e spassosissime, che ci riportano alla mente i giorni in cui il rap era tutta una battaglia tra carismatici MC agguerriti. Azzeccato mix tra lo stile sofisticato di oggi e la dedizione di ieri.

 

10) Wale – “The Album About Nothing”

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Quando “Ambition” uscì nei negozi, cinque anni or sono, si parlava di Wale come di un rapper sul punto di esplodere, ma nessuno sapeva ancora quali confini effettivi avrebbero potuto demarcare il suo spazio d’azione. “The Album About Nothing” è il semplice riflesso del suo status attuale, cioè quello di un interprete notevole, capace, ma ancora alla ricerca della sua consacrazione definitiva, e forse della sua stessa identità. Considerarlo una personalità di spicco della scena contemporanea sarebbe un errore, ma relegarlo all’insignificante nicchia non sarebbe comunque corretto. Per il momento, gustiamoci questa nuova pillola. Per il futuro, staremo a vedere.

 

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

 

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Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Classe 1991, vive e lavora a Milano. Esperto di cultura Hip-Hop statunitense, collabora con Mondo Rap dall'ottobre del 2015.