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Christmas on Death Row: un’ agrodolce storia di Natale

Questa è una storia di Natale, una di quelle favole piacevoli da ascoltare al caldo del camino, ma anche impregnate di nostalgia e sentimentalismo, danzanti sul sottilissimo confine tra leggenda e mito: oggi parliamo di “Christmas on Death Row”.

A fine 1996, nel bel mezzo di un turbine burocratico che avrebbe presto portato l’intera società allo smembramento, la Death Row Records di Suge Knight stava vivendo i suoi ultimi giorni di gloria: Dr. Dre era ormai partito da quasi un anno, ed il mondo aveva da pochissimo dovuto dire addio al genio indiscusso di Tupac Shakur, perito in settembre sotto i colpi di un killer ancora privo di nome.

Senza più alcuna concreta prospettiva di fortuna per il futuro prossimo, gli artisti rimasti in seno all’etichetta losangelina (Snoop Doggy Dogg, Tha Dogg Pound, Danny Boy ed altri) unirono le forze per consegnare ai posteri un lavoro certamente non ambizioso, ma pieno di valore simbolico, che potesse allietare il Natale di coloro (ed erano tanti) che avevano ancora grandi aspettative sul colosso nato soltanto quattro anni prima sotto il sole della California.

L’atmosfera che si respirava negli uffici della label, al numero 8200 di Wilshire Boulevard (Beverly Hills), era surreale: nonostante Suge si sforzasse di mostrare all’esterno che la sua creatura era più forte e sana che mai, ogni singolo dipendente della Death Row sapeva – in cuor suo – che i tempi dello sfarzo e della fortuna stavano inesorabilmente volgendo al termine. Lo stesso Suge si stava preparando ad affrontare un processo per violazione della libertà vigilata (a causa del pestaggio di Orlando Anderson, nella notte dell’uccisione di Tupac), e sarebbe presto finito in galera per oltre quattro anni, dal 1997 al 2001, privato di quell’autorità che lo aveva visto guardare il mondo dall’alto a partire dall’uscita di “The Chronic”. Snoop Dogg, poi, era ormai arrivato al termine di un percorso mistico che lo stava distanziando sempre più dalla filosofia aggressiva e brutale della Death Row, in seguito allo scampato pericolo di una condanna all’ergastolo per il drive-by che uccise il giovane gangster Philip Woldemariam, nell’agosto del 1993; Snoop fu miracolosamente salvato dall’estro dell’avvocato David Kenner, e la sua ossessione per la vita oltre il limite, da quel momento, non avrebbe più costituito una priorità assoluta.

Fu in questo clima teso e vulnerabile che, il 5 dicembre 1996, fece la sua comparsa nei negozi “Christmas on Death Row”*.

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Snoop Dogg durante il processo, mentre ascolta il verdetto di assoluzione

La compilation, composta da pezzi inediti e remake di canzoni popolari natalizie, si distacca con decisione dalla sfrontatezza del passato, abbandonandosi ad una malinconia di fondo che pervade l’intero progetto, quasi a voler intonare un requiem per l’imminente caduta del grande impero.

Pur musicalmente molto valido, l’ascoltatore è catturato principalmente dai colori chiaroscuri che dipingono la tela dell’opera, prima colma di consapevolezza per l’immediata fine, poi debolmente orgogliosa nel rispolvero del suono più familiare a chi nel proprio armadietto conserva con gelosia una copia di “Doggystyle”.

Pur configurandosi come prodotto G-funk, si può legittimamente affermare che si tratti di un concept soul, dal momento che le sezioni rap sono davvero limitate, soffocate dalla sacralità del canto appassionato e lento degli interpreti selezionati (il già citato Danny Boy e i 6 Feet Deep su tutti), perfettamente sul pezzo e carichi di umiltà nell’esecuzione.

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Dopo “Christmas on Death Row”, della macchina da soldi che aveva impaurito il mercato discografico mondiale dei primi anni ’90 non sarebbe rimasto pressoché nulla: oggi ne cantiamo le remote gesta e ci auguriamo che le prossime generazioni possano imparare la storia per com’è avvenuta, nella speranza che tutte le conquiste e gli errori fatti possano servire a costruire – un domani – una realtà ancor più luminosa e fiorente.

Prendiamo atto, tuttavia, che la Death Row Records non ha ancora visto un suo degno erede prendere il centro della scena, nonostante i blandi ed innumerevoli tentativi fatti da imprenditori più o meno improvvisati, nel corso degli ultimi due decenni (la Roc-A-Fella è stato l’esperimento più riuscito, ma nessuno si azzardi a tirare in mezzo la Cash Money). Forse, credere che ci sarà davvero una superpotenza in grado di superare in lustro quella che fu la casa di alcune delle più grandi leggende della musica rap di tutti i tempi suona addirittura un po’ pretenzioso, ma la storia non si sottopone a previsioni, e possiamo solo stare a guardare.

Così, mentre attendiamo il sorgere di una nuova alba, godiamoci gli ultimi giorni di questo 2015 sotto le calorose note di “Christmas on Death Row”, ed assorbiamone tutta l’implicita maestosità, tenendo bene a mente che spesso il fascino più seducente è quello emanato dai meandri della storia.

Buon ascolto. E buone feste a tutti.

 

 

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

*I proventi ottenuti dalla vendita delle copie del disco (poco più di 200 mila dollari) furono devoluti in beneficenza.

 

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Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Classe 1991, vive e lavora a Milano. Esperto di cultura Hip-Hop statunitense, collabora con Mondo Rap dall'ottobre del 2015.