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Snoop Dogg e l’omicidio che cambiò la sua vita

Il processo per la morte di Philip Woldemariam costituisce uno dei casi più significativi della storia giudiziaria degli Stati Uniti d’America, al pari di quell’assurda telenovela che, a metà anni ’90, vide alla sbarra O.J. Simpson, l’ex campione di football accusato di aver ucciso a coltellate sua moglie Nicole ed il presunto amante di lei, il giovane cameriere Ron Goldman.

Da un punto di vista umano, allo stesso tempo, questo caso ha avuto il merito (o il demerito, a seconda dei punti di vista) di aver radicalmente cambiato quella che, fino a quel momento, era stata la mentalità di Snoop Doggy Dogg, basata sui controversi principi di appartenenza alle gang, violenza e rifiuto di integrazione presso la società civile.

Attraverso il suo diretto coinvolgimento nell’uccisione di Woldemariam ed il tangibile rischio di una condanna all’ergastolo, Snoop è diventato un individuo diverso, un ragazzo d’improvviso costretto a diventare uomo, posto di fronte alla scelta tra perseguire la distruttiva iperbole del malvivente arricchito (e con un’aspettativa di vita ridotta) ed abbracciare una filosofia differente, per la quale l’etichetta del “fuorilegge” si sarebbe limitata alle considerazioni di facciata, slegata dalla reale sostanza dell’essere umano.

Tupac, l'avvocato Kenner, Suge Knight e Snoop Dogg

Tupac, l’avvocato Kenner, Suge Knight e Snoop Dogg

I protagonisti di questa storia, quindi, sono essenzialmente due: da una parte, l’appena citato Snoop Doggy Dogg, punta di diamante della Death Row Records ed in procinto di fare la storia dell’hip-hop con il suo grandioso album “Doggystyle”; dall’altra, Philip Woldemariam, giovane gangster di origine etiope, appartenente ad una banda di scalmanati (chiamati “By Yourself Hustlers”) affiliati ai Crips dell’area di Miracle Mile (Los Angeles).

La sera del 25 agosto 1993, nei pressi del Woodbine Park (situato nel quartiere residenziale di Palms, ad ovest di L.A.), un gruppo di amici stava cenando a base di burrito, comodamente seduti su alcune panche di legno installate all’interno del parco, sul lato opposto rispetto al ciglio della strada. Tra questi, c’era Woldemariam, un esile ventiduenne di bassa statura (e per questo soprannominato “Lil’ Shorty”), armato ed estremamente adirato con Snoop Dogg, con il quale, poche ore prima, aveva avuto un acceso alterco, poiché quest’ultimo era affiliato ad un set di Crips rivale e si trovava fuori dal suo “territorio di competenza”. Snoop, infatti, aveva ricevuto in dono dalla Death Row un’elegante villetta in quell’area di Los Angeles per una pura questione di comodità, giacché gli studi nei quali il rapper stava registrando “Doggystyle” si trovavano ad un tiro di schioppo da lì, sulla grande e rinomata Wilshire Boulevard.

Mentre Woldemariam ed i suoi amici consumavano la cena, il Woodbine Park fu costeggiato da un grosso pick-up scuro, occupato proprio da Snoop (che si trovava al volante) ed i suoi due guardaspalle, McKinley Lee e Sean Abrams, entrambi facenti parte della security della Death Row Records.

La dinamica dei fatti fu, più o meno, la seguente: raggiunto il parco, il pick-up iniziò a proseguire il suo cammino a velocità ridotta, come se fosse alla ricerca di qualcuno; notato il passo lento del veicolo, Woldemariam riconobbe Snoop ed il suo entourage, e si avvicinò minaccioso, urlando frasi ingiuriose e mostrando il calcio della sua pistola, che fuoriusciva dal bordo dei pantaloni; a quel punto, McKinley Lee – che si trovava sul sedile anteriore della vettura, affianco a Snoop – abbassò il finestrino e puntò la sua arma contro Woldemariam, il quale, avvertito il pericolo, cominciò a fuggire, alla disperata ricerca di un riparo. La fuga del ragazzo fu breve e sfortunata: colpito da alcuni proiettili, Philip Woldemariam morì tra le braccia dei suoi amici, mentre il fuoristrada sparì in pochi istanti.

Con gli investigatori che ormai stringevano il cerchio intorno a lui, Snoop Dogg decise di consegnarsi alle autorità, subito dopo aver partecipato all’edizione 1993 degli MTV Video Music Awards, edizione che vide trionfare in toto i maggiori esponenti del nuovo e travolgente fenomeno grunge (Pearl Jam, Nirvana, Stone Temple Pilots, Alice in Chains).

Difeso da avvocati del calibro di David Kenner e Johnnie Cochran (quest’ultimo in qualità di consigliere, già difensore di O.J. Simpson e Michael Jackson), Snoop si presentò di fronte al giudice con un’accusa di omicidio volontario sulla testa, insieme a McKinley Lee (assistito dall’avvocato Donald Re), colui che premette personalmente il grilletto per uccidere Woldemariam, mentre Sean Abrams fu presto prosciolto dalle accuse in sede preliminare e non andò a processo.

Snoop Dogg, pochi istanti prima della lettura della sentenza

Kenner e Cochran giocarono fin da subito la carta della legittima difesa, cercando di convincere la corte che, se Lee non avesse fatto fuoco, Snoop si sarebbe potuto trovare in serio pericolo di vita. Per avvalorare questa tesi, gli esperti avvocati fecero un ritratto denigratorio di Philip Woldemariam, dipingendolo come uno spregevole avanzo di galera, un malvivente senza scrupoli, un ingenuo giovane che aveva scelto deliberatamente la strada sbagliata.

La famiglia dell’etiope, tuttavia, si affrettò ad informare la stampa che quanto dichiarato dai legali di Snoop era assolutamente falso, e difesero la memoria della vittima, raccontando dei suoi gravi problemi di salute (era affetto da diabete e faceva iniezioni di insulina quotidianamente) e della sua ambizione di studiare per diventare medico.

Il dibattimento processuale arrivò ad un punto di svolta quando l’accusa, nel tentativo di scardinare l’impianto difensivo del duo Kenner-Cochran, mostrò l’incongruenza tra la supposta legittima difesa e la dinamica dei fatti: com’è possibile, si chiedevano Edward Nison e Robert Grace (gli avvocati della famiglia Woldemariam), che McKinley Lee avesse fatto fuoco per proteggere Snoop Dogg da un imminente pericolo, se la balistica ha dimostrato che i proiettili sono penetrati nel corpo del giovane attraverso la parte posteriore del suo corpo (schiena, natiche)?

In effetti, la vittima fu colpita mentre stava fuggendo, non in un palese atto di offesa.

A questo punto, per ristabilire la bilancia in favore del suo cliente, Kenner mise in pratica tutta la sua esperienza, aggressività e potere di persuasione, convincendo gli amici di Woldemariam – chiamati a testimoniare – ad ammettere che la scena del delitto era stata alterata e che la pistola di Philip fosse stata in realtà rimossa da uno di loro, poiché il giovane la stava brandendo in direzione del pick-up di Snoop durante la fuga. Ci sono molti elementi per credere che i testimoni siano stati effettivamente soggiogati dall’esperienza di Kenner, conosciuto già da decenni per essere uno dei migliori avvocati penalisti della California, specializzato negli interrogatori incrociati (“cross examinations”), specie se effettuati nei confronti di soggetti vulnerabili sotto pressione.

La strategia di Kenner funzionò a meraviglia: dopo ottantasei giorni dall’avvio ufficiale del processo, il 21 febbraio 1996, il giudice Paul G. Flynn dichiarò gli imputati non colpevoli, assolvendoli con formula piena.

L’assoluzione di Snoop e McKinley Lee alzò un grande vespaio mediatico per la chiara affinità con il contemporaneo caso di O.J. Simpson, anch’egli assolto nonostante la sua colpevolezza sembrava essere chiara come il sole*.

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Snoop Dogg, durante la lettura della sentenza

Se Snoop non avesse avuto a disposizione l’abilità di Kenner e Cochran, in effetti, a quest’ora si troverebbe ancora rinchiuso in qualche carcere federale della California, ed è su questo punto che, per anni, i giornali degli Stati Uniti avrebbero battuto con forza il chiodo: possono esistere dei cittadini di serie B davanti alla legge? I soldi e la fama possono comprare la libertà di un assassino? Come può lo Stato garantire pari diritti nei palazzi di giustizia del paese?

Il presente articolo non vuole entrare nel merito di un caso così complicato e controverso, ma si può dire con tutta franchezza che chi all’epoca storse il naso di fronte a questi due verdetti (quello di Snoop e quello di Simpson) non lo fece certo nelle vesti di detrattore di parte, poiché la leggerezza con cui ambedue i casi sono stati trattati lascia ancora oggi forti perplessità in chiunque esamini a fondo le carte.

In ogni caso, il 21 febbraio, fuori dall’aula del tribunale e finalmente libero da ogni accusa, Snoop Dogg concesse interviste a diverse emittenti radiotelevisive, alle quali, oltre ad elogiare l’operato di David Kenner, dichiarò la sua intenzione di tornare a concentrarsi esclusivamente sulla musica, lasciando da parte ogni altra incauta distrazione.

Già in occasione dell’uscita del secondo album del rapper di Long Beach, “Tha Doggfather” (pubblicato il 12 novembre 1996), i fans più attenti avrebbero avuto modo di notare come la personalità di Snoop si stesse evolvendo di pari passo con la sua musica, non più aggressiva e violenta nei testi, bensì in linea con la precedentemente espressa volontà dell’artista di dare un’immagine più positiva di sé, come egli stesso avrebbe dichiarato in seguito: “Penso che ‘Tha Doggfather’ abbia segnato una sorta di rinascita per me, sono diventato una persona migliore. Vivevo in un certo modo e volevo rendere tutti partecipi attraverso la mia musica; ora però, voglio soltanto vivere la mia vita in pace, non glorificherò più la negatività che la Death Row voleva impormi”.

Dopo l’uscita di “Tha Doggfather”, infatti, Snoop Dogg lasciò la Death Row Records (ormai sull’orlo di un imminente tracollo) e trovò una nuova casa nella No Limit Records di Master P, per la quale, due anni più tardi, avrebbe pubblicato “Da Game Is to Be Sold, Not to Be Told”, in totale contrasto con il personaggio che il pubblico aveva idolatrato ai tempi di “Doggystyle”.

Da allora, la ricerca interiore di Snoop Dogg non si è mai fermata: l’ultima tappa, in ordine di tempo, è quella che l’ha visto approdare tra le braccia del rastafarianesimo, grazie alla cui ispirazione ha pubblicato, nel 2013, l’album “Reincarnated”, sotto il nuovo pseudonimo di Snoop Lion, in un trionfo di misticismo e punti interrogativi (c’è chi pensa, forse a ragione, che la svolta rasta sia stata soltanto un modo per accattivarsi le simpatie di una nuova fetta di pubblico).

Qualunque sia la prossima metempsicosi dell’immortale Snoop, comunque, ci auguriamo che la comunità hip-hop saprà sempre apprezzarlo per il suo contributo – prezioso ed unico – alla storia del rap made in West Coast, invece di tirar fuori il suo nome soltanto per collegarlo alla marijuana e a tutte le insulse bizzarrie di cui, di tanto in tanto, si rende protagonista.

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

*Nonostante le prove schiaccianti a suo carico (gocce di sangue delle vittime nella sua vettura e addirittura sui calzini), O.J. Simpson scampò al carcere, grazie all’audacia del suo straordinario team di avvocati (tra cui figuravano il già citato Johnnie Cochran e Robert Kardashian, padre di Kim Kardashian), che riuscirono a provare che l’investigatore che aveva raccolto gli indizi contro Simpson, Mark Fuhrman, aveva pregiudizi razziali contro l’imputato.

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Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Classe 1991, vive e lavora a Milano. Esperto di cultura Hip-Hop statunitense, collabora con Mondo Rap dall'ottobre del 2015.