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50 Cent vs. The Game: storia di una faida

Tra tutte le faide che si sono succedute nella storia della musica rap statunitense, quella che ha visto contrapposti 50 Cent e The Game è stata, probabilmente, quella di più difficile comprensione.

Ciò che per quasi dieci anni – dal 2006, a fasi intermittenti – il pubblico ha potuto sommariamente capire del diverbio tra questi due rapper, è che tra l’ex spacciatore del Queens ed il gangbanger di Compton ci fosse un’antipatia di fondo, soprattutto a causa degli attacchi provocatori del secondo, a volte così fastidioso da sembrare in cerca di pura e semplice pubblicità.

La realtà, tuttavia, è ben diversa da quanto una lettura superficiale dell’argomento possa suggerire.

Per comprendere i reali motivi di questa popolare “beef”, dobbiamo fare un salto temporale di oltre tredici anni, e tornare all’anno 2003: con l’uscita di “Get Rich or Die Tryin’”, 50 Cent sembrava essere diventato il nuovo Messia del mondo discografico, non solo hip-hop, grazie ad una capacità d’intrattenimento che andava di pari passo con una solida e ben propagandata credibilità di strada. La sua ambizione sembrava non avere confini, e le sue spalle erano coperte dal team Shady/Aftermath di Eminem e Dr. Dre, che all’epoca non aveva alcun rivale e spadroneggiava liberamente sul mercato.

Mentre la leggenda di 50 iniziava a mettere  solidi paletti, i gruppi discografici più vicini ad Em e Dre non si adagiarono sugli allori, e dal nulla spuntò improvvisamente un ragazzo dei bassifondi californiani, novizio del rap, che era sopravvissuto ad una spaventosa sparatoria – proprio come 50 Cent – e che si faceva chiamare The Game.

Accertatone il potenziale artistico e confermatasi tragedia umana che lo accompagnava (a quei tempi, venir fuori dal ghetto era ancora un fattore molto quotato), si pose subito il problema di come “presentare” al pubblico questo nuovo gioiello, nel modo più efficiente possibile e nonostante il dominio pressoché totale di 50 Cent.

Ci fu probabilmente più di una riunione,  l’idea migliore venne a Jimmy Iovine, boss della Interscope Records e stretto collaboratore di Dr. Dre, con il quale aveva cominciato a lavorare ai tempi di “The Chronic”, nel 1992, per poi aiutarlo a lanciare Eminem e, più recentemente, a rendere le cuffie Beats by Dr. Dre un marchio di fama planetaria.

L’idea di Iovine, in sostanza, fu la seguente: se The Game fosse stato accolto all’interno della G-Unit, la crew storica di 50 Cent, il suo nome sarebbe circolato nell’ambiente di prima fascia con estrema facilità, annullando di fatto la necessità d’investire inutilmente una marea di soldi per far promozione ad un artista che, in questo modo, sarebbe stato subito conosciuto per la sua militanza nel già celebre “gruppo di soldati” di 50.

Lloyd Banks, 50 Cent, Young Buck.

Lloyd Banks, 50 Cent, Young Buck.

All’epoca di queste trattative, la G-Unit stava vivendo un momento dorato: “Beg for Mercy”, l’ album di debutto, era stato pubblicato poco dopo “Get Rich or Die Tryin’” e, proprio per questo, era schizzato in cima alle classifiche americane, trainato dalla potente “Poppin’ Them Thangs”, un autentico revival dell’attitudine “gangsta” che mancava ad alti livelli almeno dalla metà degli anni ’90. Inoltre, i tre membri della crew si stavano preparando a pubblicare i loro dischi solisti: Lloyd Banks avrebbe aperto le danze con “The Hunger for More” a giugno 2004, seguito da Young Buck con “Straight Outta Cashville” a fine agosto, per finire con “Thoughts of a Predicate Felon” di Tony Yayo, pubblicato il 30 agosto, una settimana dopo il disco di Buck.

Il mercato fu letteralmente saturato dai prodotti targati G-Unit, e lo spirito imprenditoriale di 50 Cent avrebbe fatto in modo di coinvolgere la sua famiglia in altri settori, facendola sponsor di film, videogiochi e vestiti.

 

Scelta la strada da seguire, comunque, per The Game si aprirono le porte della Aftermath Entertainment di Dr. Dre, il quale non ebbe esitazione a firmarlo, dopo aver ascoltato gli innumerevoli mixtape ai quali il ragazzo si era dedicato, in seguito all’imboscata che gli era quasi costata la vita, nell’ottobre del 2001.

Il 18 gennaio 2005, su etichetta G-Unit/Aftermath/Interscope, fu mandato alle stampe “The Documentary”, uno straordinario lavoro che, grazie alla sua forza narrativa e alla raffinatezza dei beat (prodotti da nomi eccellenti, quali Dr. Dre, Just Blaze, Scott Storch, Timbaland, Havoc e Kanye West), fece guadagnare all’ex blood di Los Angeles lo status di “nuova icona della West Coast”.

Tuttavia, nonostante il successo del disco, non ci volle molto perché il forzato ingresso di The Game nella G-Unit mostrasse le sue prime crepe.

The Game, fotografato nel 2005.

The Game, fotografato nel 2005.

Poco dopo l’uscita di “The Documentary”, alla stazione radio newyorkese Hot 97, 50 Cent annunciò pubblicamente di aver allontanato The Game dalla G-Unit, aggiungendo di averlo fatto per la riluttanza da parte del rapper di Compton di prendere parte alle altre faide in cui era coinvolto il gruppo (Jadakiss e Fat Joe in primis). Poco dopo l’annuncio, The Game in persona, seguito dal suo entourage, cercò di entrare alla Hot 97, e ne scaturì un alterco, alla fine del quale un uomo di 50 fu colpito alla gamba da un proiettile.

Al Summer Jam del 2005, per rincarare la dose, The Game fece debuttare ufficialmente il diffamante marchio “G-Unot”, che tuttavia non venne utilizzato a lungo, poiché 50 Cent ne registrò furbescamente il copyright a suo nome.

Seguirono una serie innumerevole di mixtape e video, da entrambi gli schieramenti, pieni d’insulti e prese in giro, che si sarebbero un po’ attenuati soltanto quando, nell’ottobre del 2006, The Game dichiarò di voler concordare una pace con 50 ed il suo camp. Da allora, l’atteggiamento del rapper californiano nei confronti dei suoi ex compagni è stato piuttosto schizofrenico, contradditorio, e sono stati in molti a leggere nel suo bizzarro modo di fare un mero tentativo di creare interesse (il cosiddetto “buzz”) intorno al suo personaggio, riesumando i rancori quasi a comando, senza alcun apparente motivo.

La pace tra The Game e la G-Unit non è mai stata ufficialmente stipulata, ma è ormai chiaro, dopo tutti questi anni, che la tanto enfatizzata diatriba tra i due schieramenti non ha giovato a nessuno.

Nel 2006, The Game ha pubblicato il suo secondo disco, “Doctor’s Advocate”, su etichetta Geffen, probabilmente secondo la precisa volontà di Dr. Dre di non trovarsi in mezzo a due fuochi, spingendo involontariamente la carriera di un artista che, a sua volta, stava cercando di infangare quella di un suo altro figliol prodigo.

50 Cent e The Game nel 2006, alla conferenza stampa che avrebbe dovuto defintiivamente sancire la loro pace.

50 Cent e The Game nel 2006, alla conferenza stampa che avrebbe dovuto definitivamente sancire la loro pace.

In effetti, oltre a non essere stato pubblicato dalla Aftermath, l’album non presenta alcun beat firmato Dre, mentre la produzione esecutiva è accreditata a The Game stesso, insieme a James “Jimmy Henchman” Rosemond, una delle personalità più tetre della storia del rap (probabilmente legato anche all’attentato che quasi uccise Tupac, nel ’94) ed attualmente in carcere a vita con l’accusa di omicidio su commissione di Lowell “Lodi Mack” Fletcher, un affiliato della G-Unit.

Se vogliamo trarre delle conclusioni su questa brutta storia e trovare un motivo concreto alla spirale di violenza che ha coinvolto questi due colossi della nuova generazione del rap, The Game e 50 Cent, possiamo azzardare l’ipotesi che, molto semplicemente, il primo non volesse sentirsi costretto a far parte di una realtà che non aveva mai davvero sentito sua; come spiegato in precedenza, l’approdo del ragazzo nella crew di 50 fu motivata da una chiara scelta di marketing, una mossa da colletti bianchi che mal si sposava con la vulnerabilità di un giovane che aveva passato la sua gioventù a spacciare droga per conto dei Bloods.

Un giorno, anche se sembra molto improbabile, i toni potrebbero quietarsi definitivamente. Tuttavia, resta il rammarico per ciò che la G-Unit sarebbe potuta diventare con The Game a pieno titolo nella squadra – senza ombra di dubbio, una superpotenza da centinaia di milioni di dollari – e che invece è stata, una crew che non ha saputo gestire sapientemente il successo, quasi distrutta dai dissidi interni e che non ha mai nemmeno replicato musicalmente il successo di “Beg for Mercy”, finendo per relegarsi al circuito discografico indipendente.

Dal canto suo, The Game ha continuato ad avere un buon successo, ma non è fuori luogo ammettere che la faida che l’ha visto contrapposto a 50 gli abbia frenato una scalata verso la gloria che, oggi, avrebbe forse potuto relegare protagonisti come Kendrick Lamar al ruolo di blande comparse.

 

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

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Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy

Classe 1991, vive e lavora a Milano. Esperto di cultura Hip-Hop statunitense, collabora con Mondo Rap dall'ottobre del 2015.